L’impoverimento
della classe media
Di
Carlo Pelanda
Caro
romagnoli, in questo 1° aprile avrei voluto divertirvi con un raffinato pesce,
all’altezza del vostro vitalismo culturale, ma un grave problema di pane mi costringe alla sobrietà. I commenti relativi
all’aumento dei prezzi dell’energia esprimono preoccupazione, ma non
allarme. Dopotutto si tratta di soli 58 euro, in media, per famiglia all’anno in più. Una goccia. Ma “gutta cavat lapidem”, la goccia buca la
pietra. In realtà, a forza di piccoli rincari continui dal 2002 non bilanciati
da aumenti di capacità di spesa la classe media appare a rischio di impoverimento. Fa paura un recente dato Istat che rileva
come l’inflazione abbia superato gli incrementi di
reddito medio. Desta stupore che nella campagna
elettorale, fino ad ora, i partiti principali non avvertano che l’emergenza è
di sistema e non offrano soluzioni di portata corrispondente.
Negli anni
’80 la società italiana raggiunse la configurazione di 2/3 di
benestanti ed 1/3 di persone che ancora non lo erano o restavano
marginalizzate. Gli Stati Uniti avevano raggiunto tale proporzione molto prima,
la Germania
negli anni ’60, la Francia
un po’ dopo. Il ritardo italiano fu dovuto a quello
sul piano dell’industrializzazione. Ma fu anche colmato rapidamente con la più massiva migrazione dalla campagna nelle città, e dal sud al
nord, nella storia economica europea recente. Tutte queste nazioni stanno ora
subendo l’impatto selettivo del turbocapitalismo globale
che premia certe aree della società penalizzandone altre. Nel libro il
“Fantasma della povertà”, che scrissi con Tremonti e Luttwak nel 1995, tale
fenomeno fu anticipato come rischio di regressione
dalla società dei 2/3 a quella della spaccatura tra poveri sempre più poveri e
ricchi sempre più ricchi. E fornimmo soluzioni per
evitare il pericolo. Ma i governi italiani sono stati così incoscienti da non
fare alcunché in materia perfino peggiorando
l’impoverimento di massa. In Germania la politica ha preso atto della
situazione e dal 2005 sta invertendo la tendenza negativa. La Francia
sta tentando. Ambedue con strategie che cercano di mixare meglio tutele sociali
e libertà del mercato, condivise da destre e sinistre ambedue centriste,
sintomo di una emergenza percepita. L’America è un
caso più complicato, ma comunque il problema è chiaro
e le soluzioni sono in moto. In Italia non si ode voce. O,
meglio, le offerte politiche si concentrano sul sollievo delle situazioni più
disperate. Ciò è lodevole, anche se con imbarazzanti venature di populismo, ma
i leader non vanno in televisione mostrando la vera
emergenza: c’è un cedimento strutturale del modello di ricchezza di massa. E perché c’è? Il 65% degli italiani guadagna troppo poco, o
meno che nel passato, in relazione alle spese basiche
o ritenute importanti. Dove il problema principale è che la crescita dei costi
per le famiglie in termini di carichi fiscali diretti ed indiretti,
energia ed alimentazione è superiore a quella dei redditi. In tale
situazione, altrove gestita piuttosto bene, è prioritario: (a) ridurre
sostanzialmente i costi statali e le tasse di almeno il 5% complessivo; (b)
tagliare i costi dell’energia, operando sulla loro componente
fiscale, di almeno il 20%; (c) tornare alle famiglie, non solo le più povere,
un 15% di capacità di spesa in più via detassazione della busta paga o del
carico fiscale individuale e di impresa; (d) sostenere con tutti gli incentivi
possibili la nascita di nuove imprese ed il rafforzamento di quelle esistenti.
I partiti sono pregati di meglio dettagliare la loro offerta su questi punti
oppure dimostrare che l’emergenza strutturale, in Italia, non esiste. Nel
secondo caso sarebbe inevitabile la sostituzione del confronto tra destra e
sinistra con uno tra società civile e partiti.
www.carlopelanda.com